Lecce, un debito di 600mila euro con l’Agenzia delle Entrate, ma per i giudici tributari «evasione non provata»

LECCE – La Corte di Giustizia tributaria di primo grado di Lecce ha annullato ad un imprenditore del settore alimentare di Lecce un debito tributario di circa 600mila euro. Ciò perché la pretesa creditoria non è stata provata «al di là di ogni ragionevole dubbio». È il noto principio che, in forza del codice di procedura penale, garantisce al cittadino che la sentenza di condanna che lo riguarda è stata emessa da un giudice che lo ritiene certamente colpevole. Da poco più di due anni, a seguito della modifica dello Statuto del contribuente, lo stesso principio è stato esplicitamente introdotto nei rapporti del cittadino con il Fisco.

Ed è proprio quello invocato dall’avvocato Mirko Petrachi, legale dell’imprenditore cui l’Agenzia delle entrate aveva emesso e notificato una ventina di provvedimenti. Il legale ha contestato la pretesa creditoria eccependo, fra l’altro, il «difetto di prova». La Corte leccese ne ha accolto le ragioni, sentenziando che l’Amministrazione finanziaria deve fornire in giudizio gli elementi puntuali, circostanziati e coerenti con la normativa tributaria, necessari per sostenere la pretesa fiscale; la cui mancanza, impone di annullare l’atto.

«La prima sensazione che ha suscitato la modifica allo Statuto dei diritti del contribuente – spiega l’avvocato Petrachi a proposito del tema della prova – è stata che il legislatore abbia voluto imprimere al giudizio tributario la stessa impronta garantista che caratterizza il processo penale. Ha posto infatti a carico dell’Amministrazione un onere probatorio dotato di quel “livello minimo” di robustezza che consente al giudicante di formarsi il convincimento della fondatezza del credito erariale al di là di ogni ragionevole dubbio, riequilibrando finalmente la posizione del contribuente con quella dell’Amministrazione stessa».

Articolo a cura de “La Gazzetta del Mezzogiorno”

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